NYC part 2

Leaving New York

🇮🇹 Manhattan Oct. 19-25 2023

“Think you can lick it, get to the wicket, buy you a ticket, go!
Go by bus, by plane, by car, by train. New York, New York – what they call a somethin’ else town.”

Inizia così Manhattan l’omaggio musicale della big band di George Russell ed ogni volta che metto piede sulle strade di questa città riecheggiano le parole di Jon Hendricks su un up-tempo alla stregua dell’andamento del niuiorchese tipico. Ma poi, c’è un niuorchese tipico?
Si. No. Forse. Di sicuro ci sono i Native New York e quelli nati a New York. I secondi in numero superiore ai primi ghettizzati dai Dutch alla fine del 1800. La visita al Museo Nazionale degli Indiani Americani nel secondo giorno di pioggia conferma quanto già appreso da ricerche passate.
Loro si, i veri niuiorchesi.
Le molteplici diramazioni, le opportunità e le contraddizioni, in questa città le respiri e le percepisci ad ogni incrocio.
Coacervo di razze che puoi riconoscere di spalle osservandone l’andatura.
“But it’s like a needle in a haystack to find someone who was born here”.
Il fluttuare afro, l’orientale lentezza. Ispanici, asiatici. I visi pallidi hanno sempre fretta di arrivare da qualche parte. Il turista talvolta è in affanno. Una moltitudine di umanità.
Il precedente giorno di costante pioggia ha fornito lo slancio giusto per visitare il museo di Storia Naturale.
4 piani di vita. Tempo prezioso e arricchente trascorso tra i corridoi e le sale del palazzo sulla West 81st.
Dalle origini della terra all’Universo e ritorno. Uni-versi e la biodiversità. Civiltà a confronto, continenti multicolore, flore e faune, l’evoluzione della specie, i dinosauri. I batteri sono lì a ricordarci che la storia biblica della creazione del genere umano meriterebbe un’attenta riscrittura. A chi ancora discute verbosamente e traccia differenze al ribasso, sventolando con ardimento la bandiera del noi uber alles basterebbe una visita di 6 ore tra le sale per ridimensionare l’ego razziale, deviando dal proprio mono-verso a favore della stupefacente bellezza multiculturale.
And than clouds disappeared, spuntò il sole e iniziarono km all’esterno. Affrontare le steets conosciute del Village con occhi sempre nuovi e vestirsi multistrato in virtù delle giornate fredde e ventilate. Una puntata da McNulty Tea & Coffee, storico negozio dall’aria molto Once Upon A Time in… e saltare di là dal ponte, cappello in testa, per la passeggiata tra le vie rese immortali da Sergio Leone. Un rituale al quale non riesco a sottrarmi mai. Posso evitare Coney Island, stavolta persino Strawberry Fields, Harlem. Questo no. È una riconnessione con la parte più intima, un modo anche per ricordare chi mi portò qui per la prima volta a 13 anni.
L’aria di Brooklyn l’avverti cambiare ogni 5 passi, man mano che ti allontani dall’isola su per Malcom X Blvd.
Altri skyline, altre energie, altri corner store.
La permanenza in città stavolta regala persino un musical a Broadway grazie a Laura fantastica e calorosa padrona di casa. Ciò che mi leva il fiato però arriva con un messaggio dall’Italia, mia sorella ha partorito per la seconda volta. La notizia mi coglie di sorpresa ma non come il calore dell’american coffee che mi verserò addosso il mattino seguente seduto su una panchina di Washington Sq. mentre tento maldestramente, sarà che sono mancino, di inviare sms alla mia compagna in Italia.
God bless America ma sopratutto bless Mary, le giacche marroni e i sempiterni jeans. Una giornata in giro per SoHo vestito come Lennon sulle strisce di Abbey Road non me la sarei potuta permettere.
Inoltrarsi nel Lower East Side circondati da murales, art galleries, negozi alla moda. Little Italy sempre più piccola e sempre meno italiana. SoHo e NoHo e Chinatown. Li ho sempre poco frequentati ogni volta che mi sono spinto in downtown. La prossima volta proverò ad impegnarmi di più. Un pastrami da Katz, la mia prima volta e poi su fino ad Inwood lì sulle sponde del Muh lui kun Netuk, il fiume che scorre nei due versi.
I Mohicani furono certamente più accurati dei colonizzatori, considerate le correnti ascendenti e discendenti che giornalmente si alternano nell’Hudson River.
Passeggiare nel Fort Tryon Park con Ernesto e Luigi dopo aver visitato il Castle Village costruito dal lucano Charles Paterno – cosa che sorprende sopratutto Ern che intanto ci sciorina una serie di dettagli con proverbiale precisione – è come respirare l’aria autunnale dell’altopiano silano. Dopo 50 min di metro è un’altra New York. Tante New York. Inaspettato modo di chiudere questi cinque. Più piacevole del chiudere le valigie.
Muoviamo verso l’Eldorado ma molto dopo la goldrush e sopratutto in aereo. Lontani sono i tempi dei cavalli e delle carovane. Scomparsi sono i grandi capi indiani.
Vivono ancora i discendenti dei primi abitanti di Mannahatta.
Living New York never easy… sopratutto perché è solo l’alba.

🇺🇸 Mannahatta Oct. 24, 2023. 10:16pm

“Think you can lick it, get to the wicket, buy you a ticket, go!
Go by bus, by plane, by car, by train.
New York, New York – what they call a somethin’ else town.”

This is “Manhattan” the musical tribute of George Russell’s big band and every time I set foot on the streets of this city i hear echo of the words of Jon Hendricks on an up-tempo like the trend of the typical New Yorker. But then, is there a typical New Yorker? Yes. No. Maybe. For sure there are Native New Yorkers and those born in New York. The latter in number decidedly higher than the first ghettoized by the Deutch in the late 1800s. The visit to the National Museum of the American Indians on the second rainy day clearly confirms what has already been learned from past research. They do, the real New Yorkers. In this city you breathe and perceive opportunities and contradictions at every intersection.
A heap of races that you can recognize from behind by observing their walk.
“But it’s like a needle in a haystack to find someone who was born here”.
The floating Afro, the Oriental slowness. Hispanic, Asian. Pale faces are always in a hurry to get somewhere. The tourist is sometimes in trouble. A multitude of humanity.
The previous day of constant rain provided the right momentum to visit the American Museum of Natural History. 4 floors of life. Precious and enriching time spent between the corridors and halls of the palace on West 81st. From the origins of the earth to the Universe and back. Uni-versi and biodiversity. Civilization in comparison, multicolored continents, flora and fauna, the evolution of the species, dinosaurs. The bacterias are there to remind us that the biblical history of the creation of mankind deserves careful rewriting.
To those who still argue and trace differences downwards, boldly waving the flag of the We First a 6 hours visit would be enough to reduce the racial ego, deviating from its own mono-verse in favor of the amazing multicultural beauty.
And than clouds disappeared, the sun popped up and they started km outside. Face the well-known steets of the Village with ever-new eyes and dress multi-layered by virtue of the cold and breezy days. An episode from McNulty Tea & Coffee, a historic shop with the air very Once Upon A Time in… and BOOM baseball cup on head and jump over the bridge for the ritual walk through the streets made immortal by Sergio Leone. A ritual for which i can never escape. I can avoid Coney Island, this time even Strawberry Fields, Harlem and The Park. Not this.
It’s a reconnection with my most intimate part, a way to also remember who first brought me here when i was 13.
The air in Brooklyn you warn it changes every 5 steps, as you move away from the island up to Malcolm X Blvd.
Other skylines, other energies, other corner stores.
Staying in the city this time even gives a musical on Broadway thanks to Laura fantastic and warm friend and artist. What really takes my breath away it comes with a message from Italy, my sister gave birth for the second time. The news takes me by surprise but not like the warmth of the American coffee that will lay on me seated on a bench in Washington Sq. next morning.
God bless America but above all bless Mary, the brown jackets and the eternal jeans. A day around SoHo dressed as Lennon on the strips of Abbey Road i couldn’t have afforded. Walkin’ the Lower East Side surrounded by murals, art galleries, trendy shops. Little Italy is getting smaller and less and less Italian. SoHo and NoHo and Chinatown. I’ve always frequented them little every time I went downtown. A pastrami from Katz, this another first time and then up to Inwood, there on the banks of the Muh lui kun Netuk, the river that flows in the two verses.
The Mohicans were certainly more accurate than the colonizers, considering the ascending and descending currents that alternate daily in the Hudson River. Walking in Fort Tryon Park with Ernesto and Luigi after visiting the Castle Village built by the Lucan Charles Paterno – which especially surprises Ern who in the meantime gives us a series of details with proverbial precision – is like breathing the autumn air of the Silane plateau. 50 minutes by metro from the Village it’s another New York. Lots of New York.
What an unexpected way to close these five days. More pleasant than closing suitcases.
We move towards the Eldorado but after the goldrush and especially by plane.
Far away are the times of horses and caravans.
The great Indian chiefs are disappeared. The descendants of the early inhabitants of Mannahatta still live.
Living New York never easy… especially because it’s just dawn.

mg

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