In equilibrio a Malpensa

Abitualmente ascolto in cuffie la musica che periodicamente aggiorno sul mio smartphone. Seppur in minoranza non influente continuo a non stipulare contratti con Spotify e simili nell’utopistica speranza che il mondo che conosco non scompaia – compro dischi, cofanetti, libri, giornali – cosa che invece è già avvenuta.
È il progresso baby, occorre lasciare il posto al nuovo che avanza o come ha risposto un amico su una chat a proposito dell’AI e dell’impatto sulla creatività e realizzazione di prodotti artistici “è il futuro mettetevi l’anima in pace”.
Qualche giorno fa di questo e del digitale che impazza abbiamo parlato con Paolo, esperto in strumenti dal quale sono andato a ritirare un regalo che lui e la moglie avevano previsto, con mia immensa sorpresa, per il nuovo che sta avanzando nella mia vita.
Mentre il digitale avanza sempre più imperioso tanto da aver conquistato la generazione XY tutta – qualche reticente ancora c’è, romantico illuso out of time come me – le generazioni di giovani musicisti lasciano intravedere un’interesse maggiore verso gli strumenti e gli effetti cosiddetti “vintage specs” ed anche, lo sostengo da tempo, una propensione alla creatività e alla musica originale. Possiate voi mai scoprire le cover. Ve ne prego. O i piccoli giovanotti verranno tagliati fuori da un mondo sempre meno attento alla cultura e più al consumo.
Camminando per le vie e sui trenini di raccordo ho deciso di ascoltare “Biorhythms” uno dei pochi dischi incisi da Mick Goodrick in veste di leader e datato 1990.
Non lo ricordavo. Mi ha fatto riflettere su un paio di cose. La prima, quante altre belle incisioni avrebbero visto la luce e avremmo potuto ascoltare se la dedizione all’insegnamento non lo avesse assorbito – Goodrick – come invece è stato. Il suo fresco e innovativo approccio alla divulgazione didattica è un lascito enorme e di costante stimolo per ognuno di noi che insegniamo, impariamo, suoniamo. Tuttavia la didattica se affrontata con serietà ed abnegazione richiede molte delle tue energie che diversamente potrebbero venir incanalate creativamente nella realizzazione di dischi o progetti musicali. Forse per questo tra una sua realizzazione e l’altra son trascorsi tanti anni.
La seconda riflessione più diretta al contenuto del disco realizzato in trio, con sovrincisioni di altre linee chitarristiche, è che credo sia invecchiato bene per suoni e contenuti. Trovano posto brani asimmetrici, ritmi incalzanti, forme rassicuranti e la libera improvvisazione. Un disco per nulla datato mi ha ricordato perché sono sempre stato attratto, con riferimento alla musica jazz, da alcune sonorità elettriche più che dal tradizionale suono semiacustico tono chiuso.
Forse perché anche io figlio del mondo elettrico ritengo che la sei corde possa trasportarci in altre dimensioni.
Per questo Io suono il corpo elettrico… (anche quello acustico, in verità)
A quasi due anni dalla scomparsa di Goodrick la sua musica mi ricorda che si può lasciar traccia anche con una discografie fatta da poche ma intense realizzazioni.

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