L’uscita ufficiale di Freefolk, oggi, ha fatto riemergere ricordi, immagini, le tribolazioni, i viaggi, le tante persone incrociate in questi ultimi anni. Sembra strano ma è così.
Sarà certamente la mia parte razionale e analitica ma ricordo tutto quello che mi ha portato a questo momento.
Quella volta in cui decisi il titolo, le ambientazioni sonore e le idee musicali sperimentate, concerto dopo concerto – quando i concerti si facevano. I confronti con chi da vicino ha in qualche modo seguito genesi, evoluzione e completamento di tutto il materiale realizzato.
La frustrazione provata quando alcune songs sono andate perdute, la necessità di registrarle nuovamente e la sorpresa di scoprirle più dense di significato. Lo sconforto causato dal blocco pandemico del 2020 che di fatto interruppe il mio fluttuare nell’amnio, facendo disperdere l’energia creativa musicale.L’esaltazione di fronte al salvagente rappresentato da una composizione di tanti anni prima, in un altro momento di grande tribolazione, che è stato il punto di ripartenza. Il coraggio di sacrificare alcune delle composizioni perché intanto sei cambiato dentro.Lo stupore delle prime copie rosso vivo tenute in mano.
A pensarci “è solo un disco, Max, lo sai bene anche tu”.
Però un disco è una creatura e arriva il momento in cui è necessario farsi da parte, per lasciare che essa cammini autonomamente per il mondo.
Augurandosi soltanto che possa trovare la cura e l’affetto che tu stesso hai avuto nel farla crescere.
È tempo di sorridere, sempre.
Freefolk ora è in giro per il mondo. Prendetevene cura.
Fate i bravi
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photo: Salvatore Lio